Digiunare per non sprecare

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Cibo e Parola. In collaborazione con Maria di Chiamati alla Speranza.

Il tempo del digiuno può diventare l'occasione per la "sottrazione dello spreco" dalla mensa reale e ideale dell'uomo. Mensa reale, perché lo spreco ha una dimensione prettamente alimentare, che coinvolge (soprattutto) i Paesi ricchi a discapito di quelli più poveri; mensa ideale, in quanto lo sperpero - che si traduce in perdita di denaro - si misura anche in beni diversi dal cibo, coinvolgendo tutta una serie di prodotti (da quelli di uso comune a quelli meno consueti) e riguardando non solo le fasce più abbienti della popolazione, ma anche il ceto medio, a volte autore di un ipersfruttamento di oggetti e alimenti, altre volte fautore dell'opzione per il bene di lusso, anche a dispetto delle reali possibilità economiche. Non di rado, lo spreco è poi il frutto di una malaccortezza non sempre calcolata. Da qui la necessità di un vero e proprio allenamento anti-abusivismo consumistico.
Vi è tuttavia un tipo di spreco a cui, forse, si fa ordinariamente meno caso, ma che finisce con l'inquinare la tavola spirituale dell'uomo. La Bibbia contiene un interessante vademecum anti-spreco (e non solo!).
 
Lo spreco nella Bibbia
 
Il concetto di spreco nella Bibbia non è un argomento che balzi sempre immediatamente all'occhio. Non si presenta neppure come tema dalla connotazione unicamente negativa. Questo a indicare che vi è spreco... e spreco: una dissipazione realmente inutile di risorse (di qualunque tipo esse siano), e poi un falso spreco, che si rivela, nel fondo, un guadagno. La bussola per orientarsi tra i due tipi sta dunque principalmente nella Parola di Dio che offre delle coordinate precise per capire quale sia il vero spreco da cui digiunare.
Affrontato in forma indiretta o diretta, l'argomento ricorre già nell'Antico Testamento, ma è specialmente Gesù, nel Nuovo, a metterlo in rilievo.
 
a) Non sprecare parole

Insegnando ai suoi come pregare, Cristo afferma: «Pregando, non sprecate parole come i pagani: essi credono di venire ascoltati a forza di parole. Non siate dunque come loro, perché il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno prima ancora che gliele chiediate».  (Mt 6, 7-8). Cristo si fa maestro di una preghiera che sempre, per il cristiano, deve rispecchiare il fondamentale criterio dell'essenzialità, dell'asciuttezza, della veracità: poche parole, più verità e più fede; meno spreco di elementi accessori nel proprio dialogo con Dio, più amore fiducioso. Lo spreco da evitare non è solo e semplicemente quantitativo (sarebbe fin troppo facile), ma anche e soprattutto qualitativo. Poche parole, ma di qualità. Poche parole non infarcite di pretese, autocelebrazioni o "rimproveri" al Signore. 
 
b) Non sprecare la grazia di Dio

L'episodio della donna pagana che va incontro a Gesù chiedendo la liberazione della figlia oppressa dal demonio (Mt 15, 21-28), contiene un monito a non sprecare neppure le «briciole» (v. 27) dell'inesauribile grazia di Dio (intesa in senso lato, come tutto ciò che è suo dono gratuito). «Non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini» (v. 26), asserisce il Maestro,  ma la donna replica con sorprendente fede: «È vero, Signore, eppure i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni» (v. 27). I doni di Dio attraversano la vita quotidiana di ogni credente: occorre avere occhi interiori per vederli e non lasciarseli sfuggire, e bocche spirituali per cibarsene, senza sprecarli nell'andare alla ricerca di cibi diversi e meno nutrienti (o, addirittura, velenosi e mortali). 

c) Non sprecare il cibo

L'episodio della moltiplicazione dei pani e dei pesci (Lc 9,12-17) si conclude con questa annotazione: «Tutti mangiarono a sazietà e furono portati via i pezzi loro avanzati: dodici ceste» (v. 17).
In Giovanni compare un dettaglio ulteriore: «quando furono saziati, disse ai suoi discepoli: "Raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto" (Gv 6,12). 
Gesù vuole inculcare nei suoi discepoli un'abitudine alla parsimonia, nel riconoscimento del valore anche intrinseco del cibo, che in questo caso diventa pure metafora della grazia di Dio, dato il miracolo compiuto. In tal modo, il Vangelo offre un esempio che stride notevolmente con i tanti sprechi alimentari che vanno dalla produzione eccessiva di cibo rispetto alle capacità di consumo, fino allo sperpero che si verifica nei ristoranti e nelle case.
d) Non sprecare il tempo
 
I molti miracoli compiuti da Gesù sono spesso accompagnati dall'avverbio «subito». Dio non si trastulla nel fare il bene. A volte il suo tempo non è come quello umano, ma la modalità salvifica dell'azione di Cristo sulla terra offre il paradigma del suo modo di fare: «ipso facto, all'istante, senza indugio, senza aspettare oltre» [1] senza sprechi temporali. In tal modo l'uomo può essere sicuro che l'intervento di Dio nella propria vita non è mai "fuori tempo", sebbene non si possano misurare i tempi del Signore con l'orologio umano. Ma, d'altro canto, il «subito» divino diventa un invito al «subito» come risposta dell'uomo a Dio. È quanto emerge dalla chiamata dei primi quattro discepoli (Mt 4,18,22) in cui Simone, Andrea, Giacomo e Giovanni, interpellati dalla chiamata di Cristo «subito lasciarono le reti» e «la barca e il loro padre e lo seguirono» (vv. 20; 22). 
 
e) Non sprecare beni, "sprecare" l'amore
 
Nella parabola del padre misericordioso - più conosciuta come quella del figlio prodigo - (Lc 15,11-32) in cui un giovane dissipa inutilmente la sua parte di eredità, dopo averla pretesa anzitempo dal padre, si trova un'eco di quanto già i Proverbi avevano sentenziato: «Chi ama la sapienza allieta il padre, ma chi frequenta prostitute dissipa il patrimonio» (Pro 29,3).
In questa parte del racconto, il significato sotteso - oltre a quello del non sprecare la grazia di Dio - è anche l'invito alla moderazione non solo nel consumo dei beni, ma anche nell'attaccamento a essi. La storia, però, non finisce qui di portare l'attenzione sul concetto di "sperpero". Al contrario, in essa si ritrova lo spreco nella duplice accezione: negativa, nello scialacquamento delle sostanze da parte del figlio minore, positiva, nella prodigalità della misericordia a opera del padre. Una prodigalità che abbraccia non soltanto il figlio rientrato a casa, ma anche quello che, pur essendo rimasto sempre "dentro" non aveva compreso né la dimensione dell'amore, né quella della famiglia. L'amore e la misericordia non sono mai una perdita di risorse o di tempo e neppure uno svilimento di se stessi, al contrario, diventano una ricchezza per chi le dona e per colui che le riceve.

f) Non "sprecare" le persone

L'amore è, nel Vangelo, la moneta con cui salvare le anime, strappandole al male che alberga in esse e fuori di esse. "Sprecando" amore l'uomo cerca di collaborare alla missione di Gesù di non "perdere" le persone, ma di avvicinarle a Dio e, dunque, di condurle alla salvezza. 
Nell'ottica cristologica, il compito del Figlio è proprio questo: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui» (Gv 3,16-17).
Infatti, quando Cristo sarà arrestato, dirà: «"Se dunque cercate me, lasciate che questi se ne vadano"», perché si compisse la parola che egli aveva detto: "Non ho perduto nessuno di quelli che mi hai dato"» (Gv 18,8-9).
 
g) "Sprecare" per il Signore
 
È il caso che si verifica in Mt 26, 6-13, quando la Maddalena sparge sui piedi di Gesù un intero vasetto di preziosissimo unguento. Così prezioso (e costoso) da far gridare allo scandalo  i discepoli, stupiti dal gesto che, ai loro occhi, appare come uno sperpero inutile, in quanto «si poteva venderlo per molto denaro e darlo ai poveri!» (v. 9). La risposta di Cristo è altrettanto stupefacente: «Perché infastidite questa donna? Ella ha compiuto un'azione buona verso di me. I poveri infatti li avete sempre con voi, ma non sempre avete me» (vv. 10-11). Al di là del valore simbolico che Gesù attribuisce al gesto (con riferimento alla sua sepoltura) e oltre quello relativo alla necessità di evitare il pauperismo estremo nel culto, il concetto di "sprecare per" il Signore diventa un criterio di orientamento di tutta la vita cristiana. È solo a partire da questo donare tutto a Dio che diventa possibile donarsi agli altri, rendersi dunque disponibili al servizio, saper com-patire (soffrire con l'altro), essere generosi, vincere l'egoismo, l'avidità, il culto dell'io. 
 
Spreco vs generosità
 
L'opposto dello spreco non è - in termini simbolici - l'avarizia o la conservazione, ma la generosità. Chi è capace di digiunare da tutto ciò che è eccessivo o superfluo si rende capace di "dare": donare tempo a Dio, agli amici, alla famiglia, a chi è nel bisogno; donare uno sguardo di meraviglia e di rispetto al creato e a ciò che esso offre; donare parole di consolazione a chi soffre, e parole di gioia a chi è nella felicità; donare gesti di misericordia, perché Dio per primo è stato misericordioso con l'uomo, non badando a spese con lui, non disdegnando di "compromettersi" con lui... non rifiutando neppure di "sprecare" Se stesso sul legno della Croce.
 
 
NOTE
 
[1]Subito, in Enciclopedia Treccani on line.

 

 

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